Steve Jobs, un film straordinariamente bello

Bello per scelta del passo, bello per fotografia, per montaggio e per interpretazione.

Era dai tempi di Leon o di Interstellar che non sollevavamo il capo dalla riflessione del primo dopo film tirando un lungo respiro a riempire i polmoni dopo averli trattenuti per quasi tutta la durata del film, era da quei tempi, ovvero dal 2014, 2016 circa che non si esclamava al bello con tata sicurezza.

Il sottoscritto, sviluppatore web, non è un fan né di Steve Jobs né di Apple, anzi, direi quasi da sempre ostile, sia all’uomo che al prodotto. Tutto questo, però, da interessato, non da indifferente, resto però ai bordi di una maniacalità che infastidisce a priori e che è propria dei figli di Steve Jobs e di Apple: assolutismo cieco e irrazionale, privo di critica (ma soprattutto di autocritica) e un po’ (parecchio) paranoico, proprio come il famoso end-to-end del povero Steve, sì, povero, tanto che in cielo non ci porti il becco di un tuo quattrino terreno.

Ma allora come si esulta e si grida alla bellezza provenendo da tanta lontananza? Perché è stato finalmente azzeccato il modo di offrire l’uomo che è celato dietro al personaggio e al mito.
Ricordo di aver pensato, appena dopo la metà del film, che avrei giurato che Bill Gates, guardando questo film, abbia desiderato che dopo la sua dipartita, qualcuno azzeccasse la chiave di lettura della sua vita, fra personaggio e uomo, come è stato fatto per il suo amico Steve.

Interpretazioni che congelano nell’olimpo della settima arte un film che era già destinato a fare storia e scuola

Che dire? Sono davvero in difficoltà ad articolare pensieri originali per qualcosa di così semplicemente bello che anche un aggettivo appena distante da “bello” perde tono e forza tanto non serve enfatizzare le interpretazioni di Michael Fassbender e Kate Winslet, due attori dai pochi fronzoli che sanno recitare e che pensano a quello che fanno mentre lo fanno.

Molti altri grandi attori li vedi recitare leggendogli negli occhi che, mentre offrono grandi prestazioni, comunque, stanno pensando a quel momento in cui torneranno a fare shopping selvaggio o chirurgia estetica massacrante perché del loro mestiere alla fine non glie ne frega davvero qualcosa in senso assoluto. Di sicuro non viene prima della necessità di vincere un premio che li porti sopra un palco a mostrare un lungo spacco, muscoli tamarri o le nuove tette.

Michael e Kate sono concentrati, raffinano l’espressione in ogni singola scena, sono totalmente assuefatti al loro personaggio e raggiungono uno spessore pesante da morire ma allo stesso tempo liberatorio. Sì perché se l’attore è il personaggio che interpreta, ci solleva dal peso di completare nella nostra testa l’acting che nello schermo è, per un motivo o per un altro, incompleto.

La prova del nove: invidiare chi non l’ha visto

Ormai da anni, so che sono sincero nei confronti dell’autentica bellezza di un film, quando mi rendo conto, alla fine del film che sono invidioso di chi ancora non l’ha visto perché ha un dono pronto. Così è stato per “Steve Jobs” e non potendo tornare all’inizio, vergine di questa visione, ho incominciato a desiderare di vedere altro, di conoscere il resto, di provare ad approcciare di nuovo l’uomo Steve Jobs da altri punti di vista e, sia il periodo che viviamo, sia la tecnologia, in questo caso ci aiutano dandoci la possibilità di ricominciare a conoscere, in modi diversi, con occhi nuovi.

L’arte torna ad essere la capacità di mostrare in un modo unico qualcosa che è in noi ma che solo l’artista riesce ad esprimere.

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