Sempre più frequentemente alcuni di noi avvertono il pericolo di un errore di fondo nell’interpretazione di noi stessi in questo mondo.
Stanno già tentando di avvertirci: i teoremi delle nuove filosofie, figlie di questa era di sprechi e di errori, vengono lanciati verso di noi attraverso i nuovi mezzi di propagazione dell’informazione.
Questi messaggi sono più o meno cauti nel loro manifestarsi. Essi esprimono con forza la presenza di un più che concreto pericolo: stiamo commettendo un grave errore di concetto che è alla base di molte (troppe) scelte e queste portano tutte nella direzione sbagliata.
Si può asserire questo se si riesce ad avere un briciolo di buon senso e di lucidità di analisi nell’osservare questo pianeta e quello che gli stiamo facendo. Come semplice specie animale avremmo dovuto fare solo quello che ogni specie animale fa per istinto, trovare il proprio spazio nell’ecosistema più adatto, occupare il proprio gradino nella catena alimentare e adattarci alle regole della natura per trarne il maggior beneficio possibile per l’unità e, di conseguenza, per la specie.
Dotati però di intelletto, abbiamo avuto la possibilità di comporre pensieri complessi, effettuare analisi elaborate e, quindi, la possibilità di prendere decisioni che avessero un senso nell’immediato e scelte la cui utilità sarebbe stata evidente a lungo temine, proprio come quando si usa dice che il fine giustifica il mezzo.
Il problema è insito in un unico fatto: abbiamo avuto questa possibilità, che ci distingue dalle altre specie animali, nell’età dell’adolescenza (forse addirittura dell’infanzia) della nostra specie. Un’età questa in cui come specie non abbiamo raggiunto nemmeno il secondo dei tre stadi (o modi di vita) descritti dalla filosofia di Kierkegaard: estetico, etico e religioso.
La nostra immaturità, la nostra povertà di significati, di valori, di onore, ha influito enormemente nelle scelte che abbiamo fatto e l’intelletto è stato sostituito da una sorta di sventatezza data per lo più da emozioni quali la curiosità, la superficialità, il desiderio di potere fino ad arrivare al delirio di onnipotenza.
E così, una cosa tira l’altra, in un attimo siamo entrati nella trappola che abbiamo costruito tutto intorno a noi chiamandola casa. Abbiamo voluto di più e questo ha implicato che dovessimo pagare un prezzo più alto, e quello che la natura ha chiesto in cambio della soddisfazione delle nostre infantili curiosità è stata la nostra salute, il nostro tempo, la nostra possibilità di essere felici.
Abbiamo chiesto di più di quanto potevamo permetterci di chiedere e abbiamo creato, anzi, stiamo creando la bara che ospiterà i resti della nostra specie da consegnare alla storia. La prova di tutto questo è che l’indice di felicità di ognuno dei miliardi di esseri umani che hanno transitato sulla terra in questi ultimi secoli e che è decisamente troppo basso, perfino rasente allo zero potremmo dire, rispetto alle promesse che ci sono state fatte, che ci siamo fatti.
Abbiamo rovinato tutto quello che era semplice e che, soprattutto, era già perfetto così come la natura lo aveva messo a nostra disposizione: respirare, bere, mangiare ed amare.
Abbiamo fatto due cose: la prima è aver complicato le necessità primarie appena elencate rendendole dei veri e propri veleni per noi stessi e per il mondo che ci circonda, la seconda è aver aggiunto un numero troppo alto di necessità che non lo sono realmente.
Il pianeta ha bisogno di buoni agricoltori, non di altri ingegneri [cit].