22 gennaio 2020. Questa è la data in cui, dopo che le autorità cinesi ne hanno dato notizia all’OMS, il governo cinese mette la città di Wuhan in quarantena. Un giorno prima, il 21 gennaio 2020, era stato registrato il primo caso negli Stati Uniti, due giorni prima in Germania.
La somma delle informazioni a quel punto erano tali da giustificare una chiusura globale delle nazioni.
Fra le probabilità di propagazione e la sua pericolosità, ovvero la capacità di uccidere, c’erano gli elementi, pochi ma sufficienti, per dichiarare la necessaria chiusura delle frontiere continentali, nazionali e regionali. Un’applicazione delle misure di sicurezza individuali, a quel punto, con gli spostamenti bloccati, avrebbero concesso le prime settimane allo studio, in queste, del virus, se ne sarebbe controllata l’insorgenza, la sua manifestazione attraverso i sintomi e in poco tempo sarebbero stati isolati i casi.
Tutto questo non è accaduto e non è colpa di alcuno perché siamo globalmente impreparati e tutto quello che poi è accaduto ne è la chiara testimonianza. E’ quindi ragionevole pensare che nel futuro non saremo più giustificati per l’assenza di procedure che costringano le popolazioni a favore di un immediato contenimento. Utopicamente, se avessimo avuto procedure di questo tipo, dal 20 gennaio 2020, sarebbero stati necessari solo pochi giorni per effettuare le operazioni di contenimento della propagazione, valutazione del rischio, studio, cura della malattia e bonifica dei territori.
Dobbiamo credere, vivendo una generazione in cui un virus può salire su un aereo e compiere in due soli giorni il giro del mondo con svariati scali, che sia possibile attivare procedure di emergenza per scongiurare pandemie ed epidemie.