Dopo i cantautori degli anni d’oro

Era una domenica di maggio ed ero in viaggio fra Roma e Perugia, in treno. La giornata era luminosa ed ispirava buoni pensieri, lo sguardo fisso fuori dal finestrino a quel mix meravigliosamente umbro fra bosco e campagna, dove i girasoli terminano con l’inizio del manto del bosco di querce. Il sole fa capolino fra i rami delle prime querce, oltre non riesce ad andare. Allo stesso modo, il sole illumina la testa del girasoli, ma mai il loro piede, lo stelo largo e duro si infila con forza nella terra secca e polverosa di alcuni giorni senza pioggia.

Nelle orecchie Generale di Francesco De Gregori, una canzone che rischia ogni volta di essere recuperata dalla cesta del troppo ascoltato. Eppure, facendo attenzione, ho visto musica e parole fondersi col fuori dal finestrino. Solida ed immutata ha conquistato la sua posizione nella storia della musica, come lo ha fatto il suo autore.

La riflessione però è andata agli anni successivi ai ’90, quando la musica italiana si è perduta. Ho provato, per correttezza, a prendere un intero album di uno degli artisti di questi anni e l’ho ascoltato tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine, facendo attenzione sia alle parole che ai giri musicali, gli accordi, gli strumenti utilizzati. La conclusione non lascia spazio ad equivoci. Non c’è spessore, non c’è spessore musicale e non c’è spessore linguistico, non ci sono contenuti, tutto è un – mi hai lasciato, allora io soffro – oppure un – siamo liberi e dobbiamo rimanere liberi, di fare di dire – ed è sconcertante come sia immediato rendersi conto che il vocabolario di questi astisti sia ridotto ad un pugno di parole comuni, nulla di più.

E’ comunque ragionevole, mi dico, e non ci si può aspettare molto di più: da una parte la produzione è divenuta industriale, dall’altra queste persone raccontano le loro esperienze, appoggiandole ad un giro di chitarra facile facile. Le loro esperienze sono nenie ripetitive: l’uscita la sera, la scopata che confondono con l’amore e la vacanza alle Canarie che speriamo non confondano con i Caraibi, perché l’ambizione è arrivare alla stagione estiva per andare là a liberarsi di uno stress che è solo la macchina commerciale costruita intorno ad un’immagine, ad una promessa che non può durare.

Leggendo alcune biografie degli artisti che sono stati i cantautori degli anni d’oro (e non mi metto a fare nomi, come non l’ho fatto per gli artisti di questa generazione) si respira la lotta di classe, l’ambizione culturale, il valore civico e l’impegno politico. Artisti che hanno sofferto la perdita dell’amore quando l’amore aveva un vero valore, quando l’amore era un impegno che voleva durare una vita e voleva essere ònere e onòre. Artisti che hanno perso la loro fede mentre erano in strada a combattere per il loro paese o a viaggiare per conoscere culture e persone.

Oggi questo valore è letteralmente scomparso: prendi un artista di questa generazione, gli chiedi cosa abbia studiato, a cosa si appassioni e in che modo, se partecipa ad attività di impegno civile nella sua città, se stia facendo qualcosa perché la sua immagini sia sinonimo di cambiamento e di progresso visto che proprio quell’immagine ha il potere di trascinare intere generazioni e scopri che non c’è nulla di tutto questo e allora chiedendo – come trascorri la giornata? – L’alibi per evitare la denuncia del vuoto è che trascorrono gran parte della giornata in studio a scrivere le loro canzoni e a comporre le loro musiche eppure non trovi parole nei loro testi e non si trova musica nelle loro musiche. Tutto questo, se va bene, quando l’intervistato non ha diciassette anni e non è un mero caso commerciale.

Le canzoni nascono dalle esperienze della propria vita, le canzoni nascono in strada, le parole le leggi mentre le cose accadono. Gli artisti incontrano il mondo e lo percepiscono attraverso il filtro della loro sensibilità. La sensibilità che rende artisti non è che un livello di percezione diverso, particolarmente acuito e ricco di dettagli rispetto a quello che è proprio della gran parte delle persone. Questa sensibilità restituisce una sensazione maggiormente dettagliata con una forma particolare, Questa particolare sensibilità spesso percepisce significati che completano i significati comuni, quelli di tutti.
Abbiamo avuto ed abbiamo artisti in grado di riconoscere questa loro particolarità che li rende unici, artisti che hanno riconosciuto in questo un dono ed una responsabilità, artisti che sacrificano una vita intera per trovare (e sempre di più raffinare) le forme e i modi per trasformare la loro percezione in un’espressione che possa arrivare a tutti.

I cantautori, artisti cantastorie, lo fanno attraverso parole e musica.

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